Considerazioni di uno studente in Scienze delle Comunicazioni sul caso Raggi/L’Unità.

da sinistra: Virginia Raggi, Erasmo D'Angelis, Enzo Iacopino

da sinistra: Virginia Raggi, Erasmo D’Angelis, Enzo Iacopino

Fa riflettere la vicenda sollevata dal Direttore dell’Unità, Erasmo D’Angelis, in merito al video-bufala su Virginia Raggi, candidata per il M5S a sindaco di Roma.In questi giorni infatti si è assistito ad un confronto dialettico senza precedenti tra D’Angelis e l’attuale Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino, il quale non ha tardato a commentare: “… Quanto fatto dall’Unità nei confronti di Virginia Raggi, non è informazione, ma una vergogna …”
Di certo non era mai capitato, se non in rare occasioni, di assistere ad uno scontro – anche ideologico – tra chi il giornalismo lo professa e lo rappresenta nel suo massimo grado da diversi anni, Enzo Iacopino, e il direttore di un giornale sì storico, ma “resuscitato” forzatamente con denaro pubblico. 

La scelta di voler riportare online (e in edicola) una realtà storica come quella de LUnità, rappresenta una decisione di fondamentale importanza nei confronti del giornalismo stesso, soprattutto quello storico di sinistra. Dal fallimento del quotidiano, annunciato nell’agosto del 2014, sembrano cambiate molte cose nel giornalismo così come lo conoscevamo e le parole dello stesso D’Angelis ce ne danno prova. Di fatto non sembra aver stupito più di tanto la sua dichiarazione nel sostenere, dopo la pubblicazione del video-bufala sulla Raggi e la successiva smentita da parte della stessa, quanto oggigiorno le bufale che circolino in rete non siano altro che “… giornalismo in versione 2.0 …

Il video in cui l'Unità.tv "vede" Virginia Raggi

Il video in cui l’Unità.tv “vede” Virginia Raggi

In pratica, il direttore de L’Unità sembrerebbe non vedere la differenza tra un giornalista (che, ricordiamolo, sarebbe colui che le notizie le filtra facendosi mediatore e garante, attribuendo veridicità e autenticità al flusso di informazioni da cui oggi siamo sommersi) e un perditempo da social qualsiasi.
Con quest’affermazione, di fatto, si è creata una spaccatura di fondo, nonché un’ulteriore presa di coscienza tra i lettori che oggi ripongono sempre meno fiducia nel lavoro giornalistico di esperti, che tanto esperti sembrano non essere. La crisi del settore infatti non è rappresentata tanto dal fatto che i bilanci di molti giornali siano in rosso, quanto dal fatto che gli stessi non riescono a risollevarsi spesso per politiche errate all’interno delle organizzazioni editoriali e giornalistiche.

E proprio l’influenza della politica e le scelte (nonché gli interessi economici) che si celano all’interno della professione giornalistica, un tempo molto più accreditata, oggi ne snaturano la vocazione. Perché “informare” dovrebbe dire principalmente “informare” e solo in seconda battuta l’adeguarsi al progredire dei mezzi tecnologici e di mercato.
In realtà oggi “informare” viene usato per creare un grandissimo business fatto di like e condivisioni, di titoli spesso faziosi e attraenti, strutturati appositamente per “catturare“. E’ l’adeguarsi a logiche letterarie che abusano della tecnica dello storyteling ovvero del narrare e creare storie che sappiano far presa sui lettori senza poi dire nulla, nel concreto. Ecco, tra l’altro, il motivo per il quale il Titolo è più importante spesso dell’articolo stesso.
Riportare il più velocemente possibile una notizia potenzialmente “appetitosa”, magari senza nemmeno verificarla, sembra per molti essere diventato l’unico obiettivo e il sito “l’Unità.TV“, da cui ora L’Unità prende le distanze, ce ne ha dato prova.

Il confronto tra il presidente di un ordine federale, quale quello dei giornalisti e il direttore di un giornale storico, ma rivisitato, è anche e soprattutto un confronto tra chi professa la tradizione, fatta di deontologia ed etica professionale, e chi professa l’innovazione, prendendo per buone le bufale in rete per poi spacciarle come notizie vere di un “… giornalismo in versione 2.0 …” . Questo scivolone de L’Unità evidenzia come del giornalismo di scuola classica non sia rimasto quasi più nulla se non il fatto che ora si prospetta il forte rischio di sanzioni disciplinari nei confronti dello storico giornale di sinistra – che di storico ormai ha solo il nome.

Concludendo, il web avrà certamente contribuito a modificare il giornalismo e la comunicazione in generale, ma è bene ricordare che una carta dei deveri del giornalista esiste ancora, e quella non è solo tradizione, ma un dovere e un diritto a cui il giornalismo e il giornalista devono e dovranno attenersi sempre. Innovazione o meno.

 di Giuseppe Papalia