Lo scorso 24 febbraio, ho approfittato della ghiotta occasione datami dalla sua partecipazione alla tavola rotonda “Il Passato Coniugato al Futuro” organizzata dall’Osservatorio, per fare una breve intervista al sociologo Francesco Morace.
Un problema evidente oggi – é la difficoltà di comunicare il valore della qualità del made in Italy, non solo delle imprese, ma anche del nostro stesso territorio. Cosa ne pensa e come – da sociologo – affronterebbe questo problema?
Ritengo che il primo passo sia quello di una maggiore conoscenza e consapevolezza del patrimonio che abbiamo a disposizione.
Faccio un esempio: siamo l’unico paese al mondo che detiene il valore più alto dal punto di vista di beni culturali e arte. Ma non lo sappiamo, non lo raccontiamo.
Quindi il primo passaggio è di consapevolezza culturale.
Il secondo passaggio è riuscire a raccontare in modo creativo, unico, avanzato usando in maniera adeguata anche quelle che sono le nuove tecnologie, guardando al mondo come al nostro possibile mercato.
Ma se noi continuiamo a ragionare solo su noi stessi, non riusciremo a fare questo salto.
Se invece impareremo a diventare universali, partendo dalla nostra unicità, vinceremo tutte le partite che giocheremo, perché nel mondo ancora oggi veniamo riconosciuti come i più bravi, come quelli che hanno il giusto gusto di vivere.
Che é un po’ quello che diceva Lei nella tavola rotonda.
Mi hanno colpito le sue riflessioni sul campanilismo, ovvero il problema culturale insito nel nostro stesso modo di pensare e di affrontare le cose.
Si, noi abbiamo una storia millenaria, di campanili che hanno combattuto continuamente battaglie senza mai vincere una guerra. Da questo punto di vista dobbiamo fare un salto culturale e capire che lavorare sul sistema paese permette poi a ciascuno di raccontare la sua propria storia perché da soli – oggi – non si va da nessuna parte.
Bisogna trovare il punto d’incontro che può essere la formazione, può essere un progetto comune in cui poi ciascuno fa la sua parte.
Lei collabora per diverse riviste in ambito giovanile, ma non solo, oltre ad docente per la Business School del Sole 24 Ore e il Politecnico di Milano. Come pensa che il mondo giovanile possa affrontare la difficoltà ad affrontare le sfide quotidiane?
Il problema dei giovani sono gli adulti, nel senso che i giovani di oggi (tra questi anche i ragazzi e i bambini), vengono spesso allevati nella bambagia, senza che venga loro trasferito il coraggio di osare.
Da questo ne consegue che loro stessi, per primi, si aspettano di essere inseriti nel loro percorso lavorativo, di essere aiutati, assistiti e quindi non tirano fuori le unghie
Avendo lavorato in altri paesi, vi posso assicurare che se andiamo in Cina, andiamo in Brasile, in altri paesi, troviamo ragazzi giovani che vengono allevati con l’idea che devono conquistarsi il loro futuro.
Se noi non torniamo a questo passaggio educativo, non ce la faremo come paese.
Non è colpa dei giovani, è una responsabilità soprattutto nostra, degli adulti, ma i giovani devono capire che è ora di svegliarsi.
In riferimento al coraggio di osare, cosa ne pensa del premio OMI (unico in Europa) e dell’ Osservatorio Monografie Istituzionali d’impresa?
Personalmente – prima di oggi – non lo conoscevo.
Tuttavia, credo sia molto importante averlo creato, istituito – e in particolar modo – credo sia importante mettere l’accento su un particolare termine che è quello di impresa e quindi sullo stesso termine unico della monografia d’impresa, poiché è nell’impresa che spesso ritroviamo questi valori di coraggio, di unicità e di forza da cui bisogna ripartire.
Un osservatorio che ragiona su come comunicare questa impresa è un’iniziativa molto importante, che ha bisogno di avere un respiro ancora più ampio, diventando sempre più internazionale e – a maggior ragione – credo che questo progetto debba essere sostenuto dalle istituzioni del nostro paese.
Giuseppe Papalia
Studente in Scienze della Comunicazione
all’Università di Verona e membro dell’Equipe dell’Osservatorio.
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