Marghera, con il suo porto e la sua zona industriale, per decenni é stata considerata “un male necessario”, un posto senz’anima, buono per insediamenti industriali e commerciali esteticamente e ecologicamente sgradevoli.
Un posto “non posto”, da usare ma non da vivere. Poi, con lo scorrere del tempo, nemmeno più da usare o – almeno – tanto come una volta e molte grandi aziende che avevano qui la loro roccaforte se ne sono andate verso siti più salubri o moderni. Altre aziende invece hanno chiuso i battenti, ça va sans dire.
Ed ecco che l’abbandono vissuto come tradimento, i capannoni sdentati, i muri sputacchiati di spray colorati hanno fatto scoprire che Marghera un’anima ce l’ha.
Un’anima che vive di quel groviglio di ciminiere e gru fra mare e cielo, navi, capannoni compressi fra loro in una strana prospettiva che fa da piedistallo – se e quando non c’é foschia – alla silhouette chimerica della Venezia da cartolina.
Un’anima fatta dai cuori delle persone che nel progetto utopistico della mai completata “Città giardino” che rappresenta la zona residenziale di Marghera ci sono nate, hanno fatto nascere i propri figli, hanno preso l’autobus per andare in qualche fabbrica costruita in quell’intreccio di strade scabre dai nomi raggelanti: via dell’Azoto, dell’Idrogeno, della Chimica…
Ho incontrato due di queste persone e sono stata accarezzata dall’anima di Marghera a metà gennaio quando, con Mariano Diotto – Direttore del Dipartimento di Comunicazione dell’università IUSVE – e il nostro presidente Mario Magagnino, ho visitato un posto speciale, una porta per il futuro: la Venezia Heritage Tower.
Uno spettacolare esempio di rigenerazione di una “torre iperbolica” che serviva per ridurre la temperatura dei liquidi di raffreddamento dei macchinari industriali, un gioiello di ingegneria datato 1938 e, dopo la dismissione, risorto come centro culturale, connettore tra imprese, territorio e scuola grazie alla Startup culturale VHT – Venezia Heritage Tower – e un finanziamento POR della Regione del Veneto nell’ambito di un più ampio progetto dell’UE a favore della crescita e dell’occupazione.
Non descrivo nei dettagli la torre, che mi ha sinceramente emozionato; il sito ad essa dedicato (clicca QUI) la declina con accuratezza e lascio ai miei dilettanteschi scatti fotografici il ruolo di “tappetino” di questo testo.
Voglio ringraziare Massimo Orlandini e Christian Sottana e non solo per l’averci accolto e guidato nella visita ma soprattutto per il tempo, la creatività e la passione che da anni dedicano al progetto di rinascita di questo strano territorio ampiamente ridisegnato dall’uomo e che tanto racconta dell’industrializzazione in Italia.
Massimo Orlandini in molti anni di ricerca ha dato vita a una collezione di diverse migliaia di reperti, unica nel suo genere, riguardante la storia di Mestre, Porto Marghera e la terraferma veneziana. Ha pubblicato il libro: “Paolini Villani – La Compagnia Veneziana delle Indie” in cui ricostruisce l’intraprendente imprenditorialità che dal 1892 per cent’anni ha caratterizzato il territorio.
Christian Sottana, Presidente del Consorzio Multimodale Darsena – che é proprietario della Venezia Heritage Tower e di una vasta area ad essa circostante destinata alla logistica retroportuale – fa della valorizzazione dell’entroterra veneziano e della zona industriale e portuale di Marghera la sua mission.
Ringrazio, anche se non l’ho potuta incontrare quel giorno, ma Alessandra Previtali, CEO di VHT, per la passione e l’impegno che dedica al progetto.
Tiziana Sartori
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