Fumare fa male. Ciò premesso e assolti quindi obblighi morali e salutistici, vado oltre.
La tabaccheria. Per chi ha un bel po’ di anni, questo era un luogo “con tanti di quei perché” che forse non riuscirò a spiegare.
Intanto l’odore: un po’ di tabacco, un po’ di carta, o meglio, di carta a contatto col tabacco, una punta di zolfo, una di colla da francobolli – acidula – , e sotto sotto ci trovavi anche sentore di polvere, liquirizia, gas da accendini e brillantina.
Da bambina, entrare in tabaccheria, era come entrare nel paese delle meraviglie. Intanto perché per me, visto che la tabaccheria era a non più di 50 metri da casa e – fondamentale – dallo stesso lato della via, l’andarci è stato il primo passo nel processo dell’uscire da sola e poi c’era il tabaccaio, gentile e con il muso da gatto, che aveva tanta pazienza. E passavo ore a scegliere un quaderno o una matita; guardavo le pipe, i bocchini e le lattine di tabacco, mi affascinavo davanti al cestone degli shampoo. Perché a casa mia lo shampoo di comprava dal tabaccaio, che vendeva solo boccette monodose di vetro (le prime confezioni “grandi” credo di averle viste verso i 10/11 anni quando ho avuto il premesso di andare da sola fino alla Standa) .
E in tabaccheria compravo i fogli protocollo per i compiti in classe, al mattino andando a scuola. Due, uno per la brutta e uno per la bella, e il tabaccaio me li arrotolava fermando il rotolo con una vecchia schedina del totocalcio, giallina, o rosa, del totip. E le bustine di minerva, le scatolette di cerini con i paesaggi d’Italia, i nobili Svedesi e gli umili “fuminanti” da cucina e le sigarette vendute sfuse…
Potrei continuare, ma mi fermo, anche perché le mie nostalgie sono poca cosa rispetto a quelle di artisti che alla tabaccheria hanno dedicato momenti importanti della loro creatività. Veloceveloce ricordo la pastosa tabaccaia dell’Amarcord e il delicato film del 95 “Smoke” di Wayne Wang, tutto al maschile e con il nodo narrativo incapsulato in una tabaccheria americana.
E riporto una poesia di Pound, anch’egli intrappolato dal fascino sonnecchioso delle tabaccheria d’antan.
Ma perché questo parlar di tabacchi e tabaccai?
E’ che sono rimasta invischiata nei ricordi dalle immagini dell’Archivio Storico FIT, ) dove FIT sta per Federazione Italiana Tabaccai) recentemente allestito, a Roma presso la sede di questaq associazione di categoria che, se da un lato affianca molto attivamente i propri iscritti nell’affrontare la nuova declinazione della loro attività (dalla telefonia al pagamento di tributi utenze, fino alla gestione dei giocatori compulsivi) dall’altro ricerca e raccoglie le memorabilia donate da tabaccherie storiche e le ambienta in una piccola e affettuosa ricostruzione degli “esercizi” di un tempo.
Isola lacustre
O Dio, o Venere, o Mercurio protettore dei ladri,
datemi prima o poi, vi scongiuro, una piccola tabaccheria.
Con le lucide scatolette ammucchiate bene sugli scaffali
con dentro il tabacco morbido e dolce, o quello duro e forte.
E il profumato Virginia sciolto nelle scatole di vetro trasparente.
E una bilancia non troppo unta.
E le puttane che fanno un salto dentro
per fare due chiacchiere, passando, e dire una parola maliziosa,
e mettersi un attimo a posto i capelli.
O Dio, o Venere, o Mercurio protettore dei ladri.
Prestatemi una piccola tabaccheria.
O avviatemi a un mestiere qualsiasi.
Purchè non sia questo maledetto mestiere di scrittore
dove uno deve sempre spremersi il cervello.
Ezra Pound
Bello. Parafrasando Don Camillo: una “boccata” di giovinezza…
Avrà ancora senso ora che pare il mercato e-cig stia spopolando?
Comunque.
Sì, mi ricordo le prime sigarette che compravo ai tempi del liceo, spesso al mentolo (bleah) ché mi illudevo non si sentisse l’odore del fumo, in pacchetti da 10 che compravo “in società” con altri compagni.
Sì, mi ricordo di quando, ragazzino, andavo a comprare le sigarette per mio papà: 3,4,5 al massimo, rigorosamente nazionali e senza filtro, rigorosamente inserite in una bustina di carta (e non è mai morto nessuno per i palpeggi del tabaccaio, alle sigarette intendo).
Sì, mi ricordo dei vecchi che entravano per comprare UN mezzo toscano, e il tabaccaio gli apriva davanti al naso una scatola di cartone nella quale aveva già messo i sigari tagliati e gli permetteva di saggiarne la freschezza ruotandoli fra indice e pollice vicino all’orecchio (scrocchia? allora non è fresco e umido al punto giusto).
Sì, mi ricordo. Tabacchi d’altri tempi. Fumi del passato.
Bellissima la poesia di Pound. Bellissimo anche il film citato: SMOKE il cui finale è perfetto. Sui titoli di coda una STORIA DI NATALE commovente, sottolineata da una “carola” in blue-style roco e coinvolgente.
Tutti ricordi ancora freschi nella mia mente quelli che citi, Omero. E diciamo che questo non è propriamente un buon segno. Ma così è.
La cosa un po’ triste comunque non credo sia tanto il cambio di odori e colori – a quello ci si abitua – quanto il cambio antropologico che si è sviluppato nella società. E le tabaccherie rappresentano di ciò un campione significativo.
Un po’ triste per me e, forse per chi come me ha immagazzinato quei ricordi. Forse per altri, più giovani e ignari dell’odore di tabacco Virginia che intrideva le vecchie tabaccherie la cosa parrà incomprensibile
Come incomprensibili parevano a noi le nostalgie dei nostri genitori. E forse – fumandosi una e-cig alla fragola – questo penserà chi, ora, ha l’età che avevamo noi a quei tempi.