Massimo Orlandini: un personaggio eclettico difficile da catalogare.
Proprio lui, che della catalogazione ha fatto arte e passione. Dire che è un “collezionista” é riduttivo e banale. A lato di una pregiata collezione di conchiglie raccolte personalmente nei mari del mondo ed ora acquisita dal Museo della Terra dell’Università di Catania, Orlandini ha un grande amore per la sua città natale: Mestre, ma anche per il territorio circostante, in particolare Venezia e Porto Marghera. E la ama con una passione che gli viene dal sangue toscano che gli scorre nelle vene. Da questo amore si è sviluppata un’altra branca della sua ricerca: quella delle tracce dell’attività umana nel proprio territorio. E’ buon amico dell’Osservatorio Monografie d’Impresa, cui ha donato un’interessante raccolta di monografie aziendali che – seppur con i tempi lunghi con cui riusciamo a “lavorare” i reperti che ci arrivano con flusso ormai quasi giornaliero – andranno a formare un distinto “Fondo Orlandini” del nostro archivio.
Mi ha concesso un’intervista per le nostre news e il problema con lui non è certo stato quello di rimpolpare risposte laconiche, anzi!
Mi ha raccontato, o meglio regalato, talmente tante informazioni, notizie, pennellate emozionali che ho dovuto lavorare robustamente di forbici, conservando gelosamente per futuri articoli un bel tesoretto di informazioni.
D.: Nisi quid concharum capsimus, incenati sumus profecto. “Se non prendiamo qualche conchiglia, restiamo sicuramente senza cena” (Dal coro dei pescatori del Rudens di Plauto.
Una frase importante per Massimo Orlandini, il suo motto. Perché la scelta di questa frase per rappresentarti?
R.: Questa frase riassume quel che è l’essenza della mia vita con le mie passioni e ha la sua gemella nella stessa commedia: Reti piscator de mari extraxit vidulum … ovvero “ il pescatore prese con la rete dal mare un bauletto prezioso..”.
Perchè Plauto? È l’autore latino che amo di più, precursore della commedia dell’arte e conoscitore della natura umana e delle sue tante debolezze. Perché, in fin dei conti, la vita è una commedia.
Nel mio modo di intendere la vita hanno un posto fondamentale pochi strumenti, poche certezze, poche cose, ma necessarie: il mare, la ricerca con i suoi diversi percorsi, la scrittura e le mie collezioni, la città dove sono nato, – Mestre – e il territorio ad essa vicino, in primis Venezia e Porto Marghera ed una donna, unico amore per la vita.
Sono stato un bambino curioso, affascinato da un nonno materno molto speciale, avvocato in un paese della Maremma, studioso di scienze naturali, di classici greci, di archeologia, di botanica e di tecniche agrarie. Stava seduto a guardare il mare, prestissimo la mattina, poi all’arrivo dei primi turisti se ne andava: diceva che alle otto la giornata era già vecchia. Passavo le mie vacanze in Toscana e ricordo che, appena sceso dal letto, sfuggivo al controllo materno e andavo da lui al mare; lo ascoltavo, lui mi incoraggiava a raccogliere conchiglie sulla battigia, che poi gli portavo come trofei, e lui iniziava un racconto, ogni volta nuovo e strabiliante, dava nome e classificazione a quella conchiglia, parlava dell’ambiente marino dove viveva e come si era formata. Ci misi poco a dire: “Nonno, voglio fare, il conchigliologo e l’archeologo! Posso diventare tutte e due le cose?”
Passione per la storia, l’archeologia, le scienze naturali, i libri antichi, il collezionismo. Insomma, la strada era già segnata.
D.: Conchiglie quindi come scrigni di tesori sommersi? Che parallelo c’é tra questa passione e quella per la ricerca e l’organizzazione di “reperti” d’impresa?
R.: La passione per la biologia marina è andata di pari passo con l’amore per la storia della mia città.
E questo senso di appartenenza viene dal mio sangue toscano, che ama il luogo dove si nasce. Comunque, perché bello o brutto è tuo, lo difendi, lo curi, lo studi, gli vuoi bene.
Anche se si chiama Porto Marghera. È facile voler bene a posti stupendi come Portofino, Firenze o Asolo. Ma voler bene a Mestre o a Porto Marghera… ci vuole coraggio, come qualcuno mi ha detto, ma a me è venuto naturale.Sono figlio di due mari, ho due albe e due tramonti differenti in testa ogni giorno, ma sono soprattutto figlio di Mestre e di Porto Marghera, dove mio padre, progettista aeronautico, venne nel dopoguerra per lavorare negli stabilimenti, ancora devastati dai bombardamenti, che trattavano lo zinco e il piombo provenienti dalla Sardegna. Mio padre parlava della fabbrica, di come funzionava, e io mi appassionavo, ascoltavo e immagazzinavo inconsapevolmente le informazioni.
Da ragazzo conobbi una persona che prese il testimone nella mia formazione, Giancarlo Ligabue, imprenditore, paleontologo, antropologo e archeologo, collezionista, scrittore, viaggiatore e documentarista, che ha stimolato il mio desiderio di ricerca e di avventura, cioè quella molla che spinge verso il mare aperto. Ligabue, conscio della mia preparazione in malacologia, mi spedì in una missione per me insperabile, nelle profondità marine delle Maldive, da cui riportai materiale interessantissimo, che dovetti imparare a catalogare con rigore scientifico. Rigore che ho poi trasferito nell’altra metà del mio cielo: la storia della mia terra e degli imprenditori che su di essa hanno scommesso, spesso contro ogni apparente logica.
Avevo iniziato – da ragazzino – a raccogliere i biglietti delle filovie e degli autobus e a studiarne le tratte, poi fu la volta dei volantini studenteschi degli anni della contestazione, i pezzi di giornali sulla storia locale e, soprattutto, la pubblicità di ogni tipo. Crescendo perfezionai ed ampliai la raccolta con libri, manuali, brochure delle aziende dell’entroterra veneziano.
Da subito iniziai a strutturare la collezione secondo un progetto organico – forte dell’esperienza di catalogazione scientifica delle conchiglie – con il fine di conoscere lo scenario industriale e sociale della mia zona, delinearne le filiere produttive e fare cultura per generare una ricaduta identitaria sul territorio. Le imprese come conchiglie.
Studiare e classificare reperti biologici e studiare “reperti d’impresa” avevano per me stessa dignità, dovevo quindi applicare un metodo di ricerca precipuo, strutturando un “corpus” secondo una logica appropriata. Non sono mai stato un “collezionista compulsivo di figurine”. Per me è importante la scoperta, la classificazione, la descrizione di un pezzo, per raccontarlo, magari metterlo in mostra, dargli vita e futuro.
Ecco perché ho deciso di donare una parte delle mie monografie aziendali all’Osservatorio delle Monografie d’Impresa e un “Fondo Orlandini” con reperti della Prima e seconda Guerra Mondiale al MEVE, il nuovo Memoriale della Grande Guerra di Montebelluna.
Un altro fine, molto intimo quasi un’urgenza, è quello di lasciare il risultato dello studio e della ricerca di una vita a chi potrà studiare i miei reperti dopo di me, senza disperderli conservando quindi traccia del mio operato.
D.: L’amore e l’impegno per l’entroterra veneziano – spesso considerato da chi non é dei luoghi un “male necessario” – da cosa nasce?
Non certo da antiche tradizioni familiari, visto che la tua famiglia é d’origine toscana.
R.: Dalla mia origine toscana traggo il senso di attaccamento alla contrada, al posto dove sono nato, senza se e senza ma, e qui finisce il mio legame con la Toscana, perché mi sento profondamente radicato in questo territorio.
In un certo senso, sono figlio di Porto Marghera: mio padre e mio suocero ci hanno lavorato 40 anni, le nostre famiglie hanno potuto vivere abbastanza bene per merito del lavoro trovato a Porto Marghera. Il mio impegno (sempre gratuito) per la cultura della mia città, per diffonderne la cultura d’impresa, e la conoscenza di quel che è stato inventato qui, della sua storia, è inscindibile dal mio legame ai luoghi dove sono nato e cresciuto.
E poi – sono sincero – sono nato vicino al mare, e lontano dal mare e dalla laguna, con là in fondo Venezia, non saprei stare.
D.: Ho visto alcuni pezzi della tua collezione: cimeli di Porto Marghera e di pionieristici imprenditori che all’inizio del secolo scorso hanno creduto in un progetto dedicato a un territorio all’epoca paludoso e inospitale.
Raccontaci un po’ di questi uomini un po’ geniali e un po’ visionari e della tua collezione (forse altrettanto geniale e visionaria) grazie alla quale è possibile ricostruirne avventure e progetti.
R.: Considero quella di Porto Marghera come una storia a due facce: i primi decenni del Novecento hanno visto realizzarsi un’idea, quasi utopistica, di un gruppo di industriali e maggiorenti veneziani – con a capo Giuseppe Volpi (poi Conte di Misurata) che progettarono quello che non c’era, ovvero una piattaforma logistica unica nel suo genere, che poteva permettere a grandi e medie industrie di impiantarsi in una zona completamente infra-strutturata e facile da raggiungere via terra e via mare. Tutto ciò partendo dal nulla, anzi dal meno che nulla, dalle barene e dagli acquitrini della laguna nell’allora Comune di Mestre. L’idea era di un porto commerciale grandissimo, con annessa una città-giardino dotata di abitazioni per operai e impiegati.
Il progetto fu approvato nel 1917, in piena guerra: un grande azzardo, ma vincente. La zona, che fu realizzata in più fasi, ebbe la sua prima vera inaugurazione nel giugno del 1923. La nuova colossale zona industriale soddisfaceva due esigenze principali: il bisogno di energia in grandi quantità per industrie energivore, che si trasferirono a Porto Marghera in quanto in altre zone la penuria di energia bloccava il loro sviluppo, e l’esigenza di creare nuovi posti di lavoro nelle Tre Venezie. Tutto bene fino al 1962, quando ci fu la nazionalizzazione dell’energia, il cui prezzo aumentò improvvisamente: si ruppe un equilibrio e la zona andò progressivamente in crisi. Porto Marghera smise di creare ricchezza e, al contrario, divenne sinonimo di morti sul lavoro, lunghissime vertenze sindacali, inquinamento, disastro ambientale. Tutto questo è ora alle spalle, i problemi irrisolti non mancano, ma su molte aree bonificate sono sorti nuovi insediamenti, altri sono stati riconvertiti o rinnovati.
La strada è ancora lunga, ma Porto Marghera è tornata ad essere un polo attrattivo.
Sulla mia collezione, che dire? E’ difficile essere sintetici.
Molti mi chiedono: dove cavolo trovi questi reperti e questi pezzi unici? Spesso rispondo indirettamente, citando Jerome Bruner: “La scoperta, come la sorpresa, favorisce soltanto una mente ben preparata”.
Ovvero: occorre studiare le fonti, sapere cosa si cerca, prepararsi ad incontrare la scoperta. Come per un mollusco e la sua conchiglia, un insetto raro o un dinosauro: li trovi solo se conosci il loro ambiente, se sai dove e cosa cercare. È anche indispensabile dotarsi di una rete di raccoglitori specializzati e di fiducia: antiquari bibliofili, conoscitori tematici. Non esiste una sola fonte e cercare solo sul web, che pure è utilissimo, non basta, come non basta andar per mercatini. Fondamentale è stato, nel mio lavoro, occuparmi per un certo periodo di antiquariato; infatti ho girato l’Italia per la Guida OPI dell’antiquariato, vera bibbia preziosa e annuario degli antiquari italiani, ora non più edita, che mi ha permesso di conoscere e di intervistare centinaia di specialisti del settore. Fortunato l’incontro con uno dei più grandi antiquari bibliofili italiani, il milanese Andrea Tomasetig, che ha un’esperienza profonda nell’editoria grigia industriale. Ad un certo punto i miei fidati raccoglitori e fornitori hanno cominciato a chiamarmi “Mestre”, oppure “Marghera”: “Ehi Marghera! Vieni a trovarmi che ho una cosa per te!”.
A volte riesco a farmi accompagnare, come un archeologo, in una fabbrica dismessa, in un silenzio spettrale, interrotto solo da piccioni che volano all’interno, arrivati chissà come. Immaginando operai al lavoro, macchine, vapore, cerco tracce da salvare prima della demolizione, raccolgo fogli ingialliti o oggetti che altrimenti sarebbero perduti. Capitano anche le sconfitte, come quando non arrivo in tempo in uno stabilimento in demolizione e hanno appena buttato tutto l’archivio: libri, cataloghi, campioni, monografie, contabilità, fotografie… tutto perso!
D.: Ormai hai raccolto una collezione imponente, seguendo più una missione che una passione ovvero riscoprire e dar voce al “genius loci” di questo strano posto, frutto quasi esclusivamente dell’intervento umano su una natura poco ospitale.
Come porti avanti, nel concreto questo tuo “fare” cultura di territorio e d’impresa?
R.: Un’attenta riflessione di quel che è stato, è e sarà Porto Marghera mi porta a classificarne i settori merceologici, di un tempo e di oggi, ad individuare produzioni, brevetti, scoperte, lavorazioni.
Ho raccolto migliaia di documenti, oggetti, progetti, pubblicità, elementi di packaging, carte intestate, monografie d’impresa. Da qui è stato naturale incontrarmi sulla stessa strada di chi proponeva una storiografia di questa zona industriale, sia come rivisitazione critica, sia come ri-generazione di Marghera quale luogo identitario e strategico di 100 anni di sviluppo industriale d’Italia.
Dopo alcune mostre e un libro incentrato sulla figura del farmacista e imprenditore e inventore Giovanni Battista Zampironi, che aveva fondato a Mestre il Premiato Laboratorio Zampironi con quel nome che usiamo ancora oggi quando parliamo di prodotti contro le zanzare, mi sono occupato di storia di Porto Marghera collaborando col laboratorio Mestre 900 del Comune di Venezia per poi realizzare un mio progetto editoriale che comprendeva una monografia e una grande mostra sulla gloriosa fabbrica di spezie, droghe alimentari e insetticidi Paolini Villani& C.
Ma di questa splendida realtà e della mia avventura fra i suoi cimeli, mi riprometto di parlarne specificamente in un articolo ad essa totalmente dedicato.
Nel 2017 ho avuto la fortuna di conoscere la responsabile della start up culturale VHT – Venezia Heritage Tower , che ha la gestione di una torre di raffreddamento alta 60 metri, costruita nel 1938 a Porto Marghera, ristrutturata e rigenerata splendidamente, dentro alla quale ho curato, con altri, due mostre semipermanenti che espongono circa 700 pezzi della mia collezione: una delle due mostre è totalmente organizzata e curata da me e porta il titolo Porto Marghera come prodotto. I prodotti di Porto Marghera.
L’obiettivo è quello di realizzare, nel tempo, un’area dedicata alle imprese di Porto Marghera: senza nostalgia (assolutamente bandita la parola vintage!), ma attenta a quel che di buono o buonissimo si è creato nel passato, con la mente impegnata a progettare il futuro. In una parola, la Torre potrebbe diventare il Museo delle Imprese di Porto Marghera, un luogo dove si incontra il passato appena trascorso, con i suoi problemi ma anche con le sue eccellenze, e il presente, con le aziende di oggi, diretti con lo sguardo al domani.
D.: Passione e volontà di condivisione quindi, che va oltre alla ricerca e alla catalogazione e che si esprime anche nella tua collaborazione con il nostro Osservatorio…
R.: Ho trovato congeniale alla mia natura classificatoria e di ricerca l’idea dell’Osservatorio Monografie d’Impresa. Ritengo indispensabile raccogliere e custodire quante più fonti possibili della storia delle nostre imprese, “salvare” queste monografie dall’oblio, dando loro nuova vita e visibilità con una scheda tecnica, classificandole, archiviandole in un luogo adatto e sicuro, rendendole accessibili online, in modo che altri possano attingere a tali risorse e siano fonte per nuove ricerche, tesi di laurea, percorsi storici sulle nostre produzioni di eccellenza. Non disperdere la memoria, capire perché un’azienda diventi longeva, arrivando anche a cento anni di attività, perché senta il bisogno di comunicarlo, con quali mezzi, veste grafica, contenuti…
Il mio archivio, la mia collezione sono aperti: non tengo più di tanto al possesso del pezzo, ma alla sua fruibilità, alla narrazione ad esso sottesa, a quanto di utile possa generare come ricaduta culturale.
Per questo sono lieto di dare il mio contributo alla collezione OMI di monografie d’impresa donando un fondo di volumi.
Da questo punto di vista mi piace pensare allora, chiudendo con Plauto, di essere un “piscator”, uno scopritore di “scrigni preziosi”, quand’anche di carta, da riportare a riva dal profondo del mare.
Tiziana Sartori
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ieri ho avuto il piacere di scoprire un mondo a me sconosciuto, guidata da Massimo Orlandini, un benemerito per la nostra città e gliene sono sinceramente grata