Intervista a Biagio Longo, consigliere nazionale Ferpi e esperto curatore di monografie aziendali.

Biagio-Longo

Biagio Longo

Biagio Longo, consigliere nazionale della Federazione Relazioni Pubbliche (FERPI), è stato fino al 2011 responsabile comunicazione del gruppo A2A,, la multiutility nata dalla fusione tra la municipalizzata milanese AEM e l’azienda energetica bresciana ASM. In precedenza, dopo essere stato direttore di Radio Popolare e di Tele Lombardia, aveva diretto per circa 20 anni la comunicazione di AEM e per 2 anni la comunicazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG, oggi ARERA). 
Quindi un interlocutore che padroneggia molteplici forme di comunicazione, anche se ha sviluppato un rapporto speciale con lo strumento della monografia d’impresa.

Dottor Longo, come nasce questa predilezione per le monografie?
Più che di predilezione, si tratta di una scelta strategica. Ho iniziato a investire sulle monografie per una scelta puntuale nella strategia di costruzione della reputazione dell’allora AEM. Si trattava di un piano di comunicazione d’impresa che guardava al futuro e richiedeva uno strumento capace di reggere il passare del tempo e gli inevitabili mutamenti che si sarebbero verificati negli anni. Per questo creammo una collana editoriale che per 15 anni ha pubblicato una monografia all’anno, accompagnando, di fatto, il cammino di sviluppo dell’azienda, che è passata dalla dimensione municipale e provinciale a quella nazionale, poi è sbarcata in Borsa e infine ha dato vita a uno dei maggiori operatori del settore attraverso la fusione con l’Azienda energetica di Brescia.

Ma quali sono, nella sua esperienza, gli elementi di forza di questo strumento che viene talvolta considerato obsoleto?
Una monografia permette di inquadrare la radice storica di ogni singolo evento aziendale all’interno della storia dell’impresa e di collocare questa storia particolare all’interno del contesto economico. Nel nostro caso, per esempio, la storia dell’illuminazione pubblica è anche il racconto di un secolo di storia italiana e permette di evidenziare aspetti diversi: da quello prettamente storico a quello del design e alla costruzione della reputazione di un’azienda che ha assunto – col tempo – crescente rilevanza nell’economia italiana.

Verrebbe da dire che si tratta di uno strumento che guarda prevalentemente al passato.
Questo non è esatto. Prendo come esempio l’ultima monografia che abbiamo realizzato con un fotografo forse poco noto, Massimo Siragusa, ma con uno stile molto personale, che si esprime con immagini dai colori volutamente spenti, capaci di generare una sensazione di straniamento.
Massimo ha fotografato tutti i nostri impianti disseminati sul territorio, non soltanto a Milano e in Lombardia, ma in tutta Italia, gettando uno sguardo nuovo su queste infrastrutture, mentre l’azienda, con questa scelta contribuisce a dare forza al lavoro di un nuovo talento della fotografia.
Inoltre, riguardando il percorso fatto, non possiamo non riconoscere come la successione delle nostre monografie ci abbia permesso di sperimentare quella tecnica di narrazione aziendale che oggi va per la maggiore e cioè lo storytelling: che significa raccontarsi recuperando la propria storia ma anche la relazione con il territorio. Devo anche dire che la strada della monografia per noi è stata anche una scelta naturale, visto che l’azienda ha sempre dedicato un’attenzione particolare alla fotografia, che per noi ha una funzione tecnica oltre che narrativa, e i nostri archivi contengono oltre 180 mila immagini, firmate da grandi fotografi, come Gianni Berengo Gardin, Gabriele Basilico, Giampietro Agostini, Francesco Radino, Mario Mulas.

Quanto può essere importante, secondo lei, questo strumento, per il futuro?
Credo che anche nell’epoca di internet e dei social media, la monografia conservi un valore fondamentale per valorizzare la storia di un’impresa e costruirne la reputazione e va dato atto all’Osservatorio monografie istituzionali d’impresa (OMI) di aver intrapreso una strada encomiabile per riaffermare la validità di questo strumento, come dimostra, del resto l’attenzione dedicata al Premio OMI da parte di tante grandi aziende italiane, da Pirelli a Fiat, da Barilla a Benetton.
È vero che l’avvento dei nuovi media ha spinto le monografie in secondo piano, ma penso che l’impegno dell’Osservatorio, a cui la Ferpi da la sua fattiva collaborazione, possa riportare l’attenzione delle giovani generazioni di comunicatori su questo straordinario biglietto da visita delle imprese italiane nel mondo, uno strumento peraltro perfettamente declinabile sui due canali fra loro integrati come la carta e il web.

Giovanni Landolfi  – Stampa Finanziaria