Nel corso della lunga, e prevedibile, crisi che ha portato alla chiusura del quotidiano L’Unità è sparito il bellissimo e storiograficamente rilevante Archivio Storico digitalizzato. E a tutt’oggi non è più ufficialmente “riemerso”.
Si trattava di tutti i numeri – a partire dal 12 febbraio 1924 fino al 2008. – del significativo quotidiano che rappresenta una sfaccettatura significativa della società italiana ed un punto di vista, non di nicchia, della sua storia.
Tra l’altro c’è da dire che oltre a LaStampa di Torino era l’unico ad essere a disposizione gratuitamente alla consultazione online. Oggi anche molti altri quotidiani nazionali hanno digitalizzato il loro archivi rendendoli però disponibili solo a pagamento. 
Dopo puerili scuse come quella della “… difficoltà a trovare nuovi e più performanti server per la conservazione …” o vane promesse di ritorno come quella scritta, con intuibile imbarazzo, da Sergio Staino, durante la sua meteorica direzione del quotidiano fondato da Gramsci, il silenzio totale.
Silenzio rottosi, anche se parzialmente, quando nel maggio del 2017 un benemerito gruppo di hacker dava notizia in un blog di aver “ritrovato” parcheggiato e nascosto nel deep web (quello per intendersi non raggiungibile dai motori di ricerca) l’intero archivio, qui l’articolo. E dava indicazioni di tecniche e strumenti per raggiungerlo.
Successivamente, presumibilmente gli stessi hacker hanno riportato almeno parte dell’Archivio sul web “chiaro” con un curioso ed irridente sottotitolo: l’Unità “che una volta era comunista”.
Nel sito, dotato di un basilare motore di ricerca, si possono vedere le pagine dal 1946 al 2014 (anno della penultima chiusura del quotidiano), quindi non le precedenti, né i microfilm delle edizioni dall’anno della fondazione, il 1924 o le edizioni degli ultimi anni fino al 2017.
I filtri di ricerca, come già detto, sono basici e non vi è distinzione fra testi e foto, altra grande ricchezza dell’Archivio.  La notizia, diffusa con un tam tam sui Social,è stata accolta con gioia da tutte le persone che conoscevano e usavano l’Archivio, non solo giornalisti, ma soprattutto studiosi e universitari.
Non che la cosa sia del tutto lecita, o almeno molti dubbi rimangono ma, come suo dirsi, “a brigante, brigante e mezzo”.  Qui la pagina del “Nuovo Archivio”

Stefano Russo