“… Credo profondamente che ciascuno di noi ed in particolare ogni imprenditore debba impegnarsi per migliorare il territorio e la comunità nella quale opera. E credo che il nostro contributo seppur importante, non sia mai abbastanza; è necessario auspicare a voler fare sempre di più …” [Ali Reza Arabnia]

Mi ha dato da pensare e non poco l’intervento, ad un corso di aggiornamento per imprenditori veronesi, del dott. Ali Reza Arabnia Presidente della Geico Taiki-Sha, colosso mondiale degli impianti di vernicitura nell’industria automotive con sede a Cinisello Balsamo (MB) e socio sostenitore dell’Osservatorio Monografie d’Impresa.

L’imprenditore persiano Ali Reza Arabia, Presidente Geico Taiki Sha

Non sono state tanto le motivazioni portate dal dott. Arabnia sulla Responsabilità Sociale d’Impresa  – che era tema della sua prolusione – a colpirmi, già le conoscevo e sono quelle che da sempre me lo fanno apprezzare, quanto il commento di uno dei partecipanti, che mi ha dato un’ulteriore chiave di lettura di questo argomento.

La questione è quella della imprescindibile unità dell’uomo in ogni sua azione e di come questa si rappresenti al contrario in una incomprensibile discrasia in funzione dei vari piani sociali in cui esso opera. E di come invece ciò non accada nell’agire di Arabnia.
Mi spiego meglio: il nostro paese è ricco di lodevoli iniziative volontaristiche a favore dell’Altro, nelle quali ognuno agisce senza aspettarsi una ricompensa ma solo per senso del dovere o, meglio ancora, perché ciò lo appaga. Perché “il bene del prossimo fa bene al mio spirito”.
Poi la stessa persona si sposta sul piano del lavoro e – come Mr. Hide – cambia totalmente la propria ottica ed agisce guardando esclusivamente il proprio tornaconto.
Quello che Arabnia ripete instancabilmente è che le buone pratiche di un’impresa non devono essere finalizzate al fatto che “poi ve ne sarà un beneficio per l’azienda stessa” o “una maggiore produttività” ma semplicemente perché devono essere compiute, perché si ritiene giusto farlo.
Gli eventuali risultati, sul piano economico, saranno una conseguenza e non il fine di quest’agire, che non deve essere una sorta di “precostituzione di prova” per guadagnarsi un paradiso futuro. Dobbiamo essere moralmente appagati dal nostro operare, anche rischiando sul risultato economico.

Fare impresa non dovrebbe essere solo “perseguire un risultato sul piano economico” ma ampliare i proprio orizzonti  per “perseguire un risultato sociale” per la comunità che forma l’azienda e per quella in cui l’azienda stessa è inserita.
Forse, o quasi sicuramente, per questo l’impresa vista nel modo appena descritto, non è ben compresa ed accetta da parte di un capitale finanziario che da questa comunità intende trarre solo risultati economici ignorandone le ricadute sociali.
L’impresa è costituita da chi mette in gioco la propria vita e quella dell’impresa stessa: dai suoi vertici ai suoi stakeholder. E non certo dagli shareholder che sono stampella finanziaria dell’azienda interessata solo ai suoi utili monetari immediati. Gli shareholder comprano e vendono la loro partecipazione in funzione dell’istante. Chi partecipa attivamente invece crede in un progetto e quindi nel futuro.

L’economista veronese Guido Menegazzi (1900-1987)

In Arabnia futuro e passato, cultura europea e persiana si mescolano e ne scaturisce una visione della vita che pensavamo di non conoscere ma che è dentro ad ognuno di noi. E’ dentro ad ognuno di noi perché è essenza dell’animo umano.
La si ritrova a chiare lettere in un testo degli anni ’30 di un grande economista veronese dimenticato, il professor Guido Menegazzi allora assistente del Ministro delle Finanze Alberto De Stefani ,« … La riforma [del sistema economico] deve essere orientata secondo i principii che riconoscono e fissano una gerarchia di valori nella vita economica, basata sulla norma fondamentale: l’essenza dei valori finanziari è condizionata da quella dei beni economici, e l’essenza dei beni economici è condizionata da quella dei bisogni umani …».
Annota a ciò il Professor Carmelo Ferlito nel suo paper Economisti a Verona. Il giovane Guido Menegazzi del 2008:  « … Su tale considerazione si innesta tutta l’analisi economica di Menegazzi. In particolare, la moneta e l’organizzazione economica generale devono essere concepite in modo da rispettare il principio fondamentale, ovvero il primato della sfera spirituale e della persona umana sopra ogni cosa. I valori economici debbono essere subordinati ai valori umani e quelli finanziari essere regolati in modo tale da svolgere un’azione funzionale a quelli economici, e non viceversa …».

La supremazia del capitalismo finanziario dei nostri giorni ha quasi cancellato questa visione nel fare impresa.
Per fortuna essa è indelebile nel DNA di pochi imprenditori illuminati. Ali Reza Arabnia è uno di loro.

Stefano Russo