03122014-intervista-OMI-VRIntervista all’autore di “Post-comunicazione. Istituzioni, società e immagine pubblica nell’età delle reti” in occasione dell’incontro – organizzato dall’Osservatorio lo scorso 3 dicembre – con gli studenti dell’Università di Verona.

D. Ponendo una riflessione sulle forme di comunicazione odierna, in Italia si continua a non trovare un punto d’incontro nell’integrazione fra vecchi e nuovi media. Nel suo ultimo libro “Post-comunicazione” edizioni Guerini, lei individua un metodo affinché si possa raggiungere questo punto d’incontro?
R. Il tempo della Post-comunicazione obbliga a ragionare in termini di integrazioni tra superfici comunicative. Il libro che ho presentato oggi in Università tenta di ragionare proprio intorno a questa problematica proponendo alcune riflessioni rispetto alla capacità delle nostre istituzioni pubbliche di rappresentare in modo coerente l’immagine del Paese. L’Italia sembra infatti vivere di continui disallineamenti comunicativi, poco coerenti con i sistemi di interesse reali del Paese e troppo spesso autoreferenziale. Le nostre Pubbliche amministrazioni continuano a dare una rappresentazione di se poco funzionale ai bisogni reali dei cittadini, che a fronte di bisogni sempre crescenti chiedono servizi efficienti e trasparenti.

D. Per quanto riguarda la comunicazione pubblica, spesso l’inadeguatezza dell’attrezzatura tecnologica influisce sui risultati, generando un’insufficiente domanda di nuovi servizi digitali da parte dei contribuenti. Quali potrebbero essere i giusti modi di operare da parte delle amministrazioni per ottenere efficaci forme di e-government?  
R. In realtà la mia impressione è che non sia tanto l’inadeguatezza della tecnologia a generare servizi non in linea con le aspettative di cittadini e imprese, ma l’assenza di una cultura comunicativa nel sistema pubblico che per troppi anni ha tentato di risolvere un problema di assenza di relazione pubblico-privato per via legislativa senza capire che la criticità stava ancora più nel profondo, nell’idea stessa della funzione pubblica e sociale della comunicazione delle istituzioni. Nel libro questo passaggio è spiegato con dovizia di dettagli che qui non possiamo per brevità ripercorrere. L’evidenza di questo ragionamento sta nel fatto che con l’acuirsi della crisi la funzione pubblica della comunicazione è stata di fatto cancellata – con il DL 78 del 2009 – dalle priorità delle istituzioni pubbliche. In pratica nel momento di maggiore bisogno di vicinanza delle istituzioni a cittadini e imprese, l’assenza di cultura comunicativa del settore pubblico ha consentito lo svuotamento di fatto della funzione, che è stata spogliata delle sue risorse e dei suoi significati, riportandola a funzione accessoria dello Stato.

D. L’alfabetizzazione tecnologica sembra andare a rilento fra le diverse parti sociali e le istituzioni non hanno dedicato al tema un impegno adeguato. Come gestire un’educazione all’ e-government che sappia coinvolgere simmetricamente impiegati pubblici e utenti? 
R. Il digital divide è problema complesso e coinvolge diverse ambiti di analisi. Certo la gestione delle infrastrutture tecnologiche non è stata nel nostro Paese molto brillante pur avendo esempi anche vicini interessanti e spesso efficaci dal punto di vista della capacità di ampliare le forme dell’inclusione tecnologica. Basti pensare che fino a pochi mesi fa era praticamente impossibile avviare processi di free wifi a causa di una legislazione antiquata e iper-restrittiva. Allo stesso tempo la carente cultura comunicativa ha troppo spesso relegato alla sola dimensione informatica e tecnologica la gestione dell’accessibilità alle tecnologie, senza saper cogliere le opportunità sociali e indirizzare la dimensione della crescita individuale e collettiva. 

D. Tenuto conto del progresso tecnologico cui siamo sottoposti e l’integrazione di quest’ultimo al tessuto sociale, come si potrebbe delineare un buon progetto culturale in linea con la valorizzazione di un paese che sappia trarre maggiori benefici dai nuovi mezzi di comunicazione?
R. L’utilizzo del modello tradizionale di sfera pubblica, ancorata all’idea classica dello Stato-nazione, non appare più adeguato alle caratteristiche tecno-relazionali dei processi post-comunicativi generati dai nuovi media. Zygmunt Bauman sostiene in tal senso che «è finito il tempo in cui la società è l’unità di misura più importante di riferimento, ed i cui confini coincidevano con quelli degli Stati-nazione». Allo stesso modo, è possibile affermare che è finita l’era in cui l’unità di misura della rappresentazione di un Paese coincideva con la sintesi dei processi comunicativi attivati nell’ambito della sfera pubblica degli Stati-nazione. Il moltiplicarsi delle superfici post-comunicative spoglia, in questo senso, di responsabilità l’apparato pubblico per orientarsi al raccordo con una società civile mediatizzata, globale e autonoma nelle auto-rappresentazioni. Per affrontare compiutamente il tema della rappresentazione di un Paese non si può prescindere dall’affrontare la radice di una condizione nuova, che pone il cambiamento dei dispositivi della comunicazione pubblica alla base del ragionamento. La nuova comunicazione pubblica deve guardare più alle interazioni che ai soggetti, perché questi non consentono più di sostenere la nervatura di un’immagine pubblica che assume sempre di più i connotati di una meccanica fluida e in continua trasformazione, spinta dalle istanze di visibilità generate dal complesso delle interazioni post-comunicative. È dunque la proprietà dell’interazione che definisce la natura pubblica o meno della rappresentazione, a prescindere dai soggetti e persino dai contenuti che tale interazione proietta. 

Giuseppe Papalia – Studente Scienze della Comunicazione Università di Verona

 

Vedi anche: intervista di Nicola Zanotto di Fuoriaula Network  

Fonti: Post-Comunicazione (Edizioni Guerini)