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Antonio Filigno, classe 1970 é – come Armando Testa –  di Torino, città che ama e che difende a spada tratta da chi, senza cognizione di causa, continua a definirla “città grigia”. E’ un graphic designer, freelance. Lui preferisce definirsi un “designer errante”.
Ha appena pubblicato un libro il cui titolo – per gli addetti ai lavori – è premonitore di un contenuto nel quale riconoscersi: In allegato logo cliente. Pensieri avulsi di un designer qualunque. (http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=1125890).

Un libro che è il diario di viaggio di un grafico disincantato ma nel contempo innamorato del suo lavoro e della sua vita in perpetuo movimento tra un logo e una brochure, una pagina pubblicitaria e l’impaginazione di un catalogo. E in perpetua lotta con tempi e budget ridottissimi.
Mi ha concesso questa intervista, nonostante preferisca il segno grafico alla parola.

D. Filigno perché, se tu stesso ammetti di non essere particolarmente avvezzo all’uso delle parole, hai scritto questo libro?
R. Sono un art director un po’ vecchio stampo, legato alla comunicazione visiva e non ho la pretesa di aver scritto un libro da premio. 
Il tutto è partito anni fa con un blog nel quale parlavo di grafica e comunicazione, quasi una valvola di sfogo dove riversare le frustrazioni della quotidianità di un grafico free lance (in realtà molto poco free e molto lance). 
Dopo aver accumulato esperienze tra il divertente e il tragicomico o il surreale (la realtà supera sempre la fantasia) è arrivata la voglia, forse un po’ narcisistica, di farne un libro e molti dei capitoli sono tratti dal blog.

D. Di cosa parli?
R. Non ho voluto descrivere un mondo che non c’è più fatto di budget da capogiro e pubblicitari lanciati a mille.
Ho provato a raccontare, in modo ironico, la quotidianità del nostro lavoro, con gli occhi di chi si ritrova oggi in uno scenario dove i budget sono sempre più risicati, i creativi sempre più demotivati (e sottopagati), le agenzie muoiono, i freelance annaspano e i clienti non lasciano i giusti spazi.

D. A chi ti rivolgi?
R. Mi rivolgo agli addetti ai lavori e agli aspiranti tali.
Ai primi sperando che, riconoscendosi nei miei aneddoti, sorridano nel vedere che siamo tutti sulla stessa barca.
Ai secondi porgo la mia esperienza personale sulla vita di noi graphic designer. Penso che sia giusto che i giovani che escono dalle scuole di specializzazione di grafica e comunicazione sappiano che la realtà del nostro lavoro è “leggermente” diversa da quella che immaginano.
E poi, chissà, magari il libro capita in mano ad un cliente e questi non impari qualcosa!

D. Però continui ad amare appassionatamente questo lavoraccio…
R. Quando mi chiedono che lavoro faccio non rispondo “faccio il graphic designer”, ma “sono un graphic designer”.
Perché il lavoro di designer è una vocazione, come l’infermiera. Anzi a volte ho la sensazione di essere più un infermiere che un designer.

D. Da cosa nasce il titolo “In allegato logo cliente”?
R. Dal lavoro di tutti i giorni. Anche un gesto semplice come la richiesta del marchio a  un cliente dà l’idea di come il cliente stesso si approcci alla grafica e alla comunicazione e dell’importanza che gli attribuisce. 
 
D. Per concludere: cosa non vorrebbe mai sentirsi dire, da un cliente, un graphic designer?
R. Le frasi più temibili, a mio avviso sono tre: “Per le foto non c’è problema, ho un amico….” , “Avrei bisogno di un loghetto. Ma guarda è una cosa da niente, non perderci troppo tempo” e “Ho un amico che me lo fa per meno”.

Il libro, ironico anche nel tratteggiare i momenti di sconforto, è piacevole e scorre veloce. Fa ridere e fa riflettere.
Godibile l’impaginazione pulita, pensata. Significativa anche l’immagine di copertina: una moka piena di matite e altri strumenti del mestiere che Filigno vive con rigore artigiano.
Moka vs capsule, matite vs mouse. Senza disprezzare, per opportuna rapidità, né capsule né mouse.

Tiziana Sartori