Il dibattito carta vs digitale è uno dei temi caldi in ambito comunicazione al giorno d’oggi. Lo scorso 28 ottobre, al Palazzo della Gran Guardia di Verona, è stato uno dei temi affrontati alla tavola rotonda del convegno “Memorabili imprese di veronesi coraggiosi”, incontro che riuniva i rappresentanti delle aziende ultracentenarie del veronese.
Uno di loro, Alessandro Fedrigoni, presidente di Fedrigoni Spa, storica industria cartaria di Verona, in questa intervista analizza il dibattito  dal punto di vista personale, spiegando come il digitale cooperi con la carta e come invece potrebbe portare ad un cambiamento di cultura letteraria, passando attraverso punti chiave come il crollo dell’editoria italiana e il tema dell’ecosostenibilità.

Alesandro Fedrigoni, Presidente delle storiche, omonime cartiere

Alesandro Fedrigoni, Presidente delle storiche, omonime cartiere

Presidente Fedrigoni lei ha affermato che carta e digitale sono due percorsi separati, ma che vanno d’accordo: ci può spiegare il suo punto di vista?
Parto dalla mia esperienza professionale: la mattina quando arrivo in ufficio accendo il pc e leggo la rassegna stampa online, per vedere se c’è qualche titolo di mio interesse; poi però, se voglio approfondire qualche argomento, allora compro il giornale.
Il supporto digitale è utile perché è più veloce e per certi versi più comodo, ma quando si tratta di lettura di approfondimento, il cartaceo si impone.
Questo perché la lettura di quotidiani su pc o tablet è diversa, è più superficiale. Un’altra differenza sta nella facilità di lettura: con il tablet dopo 4-5 pagine gli occhi mi si affaticano; con un libro invece, riesco a leggere anche 50 pagine senza problemi.
Anche per fare una ricerca, per esempio, il digitale è tecnicamente migliore, ma poi, almeno per quanto mi riguarda, questa ricerca si tradurrà sempre in qualcosa di scritto su carta.

Nell’editoria odierna, il dibattito carta vs digitale si è ramificato nel dibattito libro vs e-book, cosa pensa di questo rapporto?
Penso che il libro prevarrà ancora a lungo sull’e-book, perché dal punto di vista della cultura e dell’approfondimento è insostituibile. I numeri lo confermano.
Poi bisogna capire bene a quali statistiche ci si riferisce, perché la quota di mercato raggiunta dall’e-book nel mondo anglosassone è diversissima da quella del mercato italiano e del resto del Vecchio Continente: per esempio, negli USA l’e-book rappresenta il 23-24% del totale, mentre in Italia siamo ancora fermi al 3-4%. E’ vero che si tratta di un mercato in crescita, ma è ancora marginale.
Tuttavia, la scelta di uno strumento piuttosto che l’altro è una questione di cultura. Con l’evoluzione del digitale probabilmente le nuove generazioni saranno meno portate ad approfondire, avranno una cultura più superficiale e il digitale si diffonderà maggiormente. La chiave di questo dibattito per me è la volontà di approfondimento, intesa non come l’azione di ricerca di diversi argomenti, ma come profondità di ogni singolo argomento ricercato.

Allora, se il mercato e-book in Italia non è ancora così competitivo, quali sono i motivi che hanno portato al crollo dell’editoria italiana?
L’editoria in Italia va male perché ha i suoi problemi specifici e il digitale non è tra questi. Ho parlato con stampatori che dicevano di star perdendo il lavoro a causa dei supporti digitali, ma gli rispondevo che si sbagliavano. Quello che è avvenuto è questo: le nuove macchine da stampa digitali, permettendo di avere tirature limitate a costi più bassi, hanno fatto sì che il numero di autori e case editrici aumentasse esponenzialmente; dai duemila titoli in un anno di una volta si è arrivati ai diecimila di oggi. Così si pubblica un po’ di tutto, a volte di dubbia qualità e la scelta è troppo vasta.
Inoltre il problema va distinto tra editori medio-piccoli ed i colossi dell’editoria, per i quali il crollo è dovuto soprattutto ad una mancanza di competitività. Non si sono adeguati ad un mercato dove esistono aziende, come nei Paesi Scandinavi, che curano l’intero processo di produzione, dal taglio dell’albero al prodotto finale.

Tornando a carta e digitale in generale, quali sono i punti forti della carta e quali invece quelli del digitale?
Alcune persone ritengono caratteristiche centrali della carta l’aspetto olfattivo e tattile, che sono però molto soggettive.
Parlando nello specifico del libro, a me piace maneggiarlo come strumento in sé: se voglio rileggere qualcosa, torno indietro e rileggo; se mi piace un passo, lo sottolineo o lo commento inserendo dei fogliettini di carta tra le pagine. Ma ripeto, è una questione di cultura e di quanto si vuole approfondire un tema.
Invece, come ho già detto, il digitale è migliore per usi più tecnici: è più comodo e più rapido se devi ricercare qualcosa; ha anche il vantaggio di diffondersi più facilmente, motivo per cui anche uno dei nostri volumi, “Le forme della carta”, ha avuto una sua versione digitale.
D’altra parte, uno dei punti forti della carta è la variabilità degli usi che se ne può fare, dal mondo del tissue (carta da cucina e carta per usi igienici) alla produzione di carta moneta, carta per imballaggio, packaging, …
Dal punto di vista della durata poi, alcuni tipi particolari di carta adesso resistono anche all’ingiallimento. La carta cosiddetta “long life” resiste anche per cent’anni.
Un altro aspetto importante è la riciclabilità del prodotto. Certe tipologie di carta sono riciclabili almeno 10 volte.

In relazione al tema ambiente, si sente dire spesso che per produrre un libro si taglia un albero e in effetti un libro in media “costa” all’ambiente 20 risme di carta, cioè circa un albero. Allo stesso tempo però, le emissioni di CO2 per produrre un solo e-book equivalgono a quelle necessarie per produrre 40-50 libri. Qual è dunque il prodotto più ecosostenibile?
Premetto che sul tema ambiente c’è tanta ignoranza. E’ vero che 20-30 anni fa’ si tagliavano le foreste vergini, ma al giorno d’oggi non esiste cartiera che non utilizzi per la sua produzione foreste re-impiantate.
Oggi c’è una cultura nuova che mette al centro la preservazione delle foreste e delle popolazioni che vivono di queste risorse. Per questo tutte le aziende che vogliono esportare hanno prodotti certificati FSC (Forest Stewardship Council), cioè che provengono da foreste sottoposte ad una gestione responsabile.
Con questa nuova politica ambientale ciò che conta è il numero di alberi re-impiantati: per ogni albero che si taglia se ne re-impiantano tre, così l’impatto ambientale  viene ridotto al minimo. Ci sono ancora aree geografiche con foreste non certificate come Malesia, Thailandia, Mato Grosso e Indonesia, ma difficilmente esportano perché i controlli ci sono e sono ferrei.

Per celebrare i 125 anni dell’attività di Fedrigoni Spa è stata realizzata una monografia istituzionale d’impresa. Ci può dire qualcosa di più su come è nata questa idea e quale riscontro ha avuto?
La nostra intenzione era quella di realizzare un prodotto principalmente ad uso interno. Volevamo un ricordo da consegnare alle persone che hanno sempre lavorato con noi e alle banche, a cui l’abbiamo regalato insieme all’annuale bilancio ambientale.
Chi ha capito che non si trattava di un mero libro di fotografie lo ha molto apprezzato.
In quel volume abbiamo raccolto tutti i reperti aziendali salvati nel tempo, quelli sopravvissuti alla guerra. Adesso la nostra intenzione è quella di realizzare un archivio storico e c’è anche la volontà di istituire un museo aziendale, ma sempre ad uso interno, non per farci pubblicità.

La vostra carta viene utilizzata dalle aziende per progetti di comunicazione d’impresa come le monografie? Quanto incide questo settore nella vostra produzione?
La nostra cartiera è specializzata nella produzione di carte particolari, che trovano una naturale applicazione nell’editoria di pregio e di design. Noi ne incentiviamo l’uso artistico e creativo in occasione dei Fedrigoni Top Award, una competizione in cui vince chi riesce a trovare la forma di utilizzo della nostra carta più fantasiosa.
Tuttavia, è difficile monitorare con precisione le finalità d’uso dei nostri prodotti per quanto riguarda la produzione grafica delle aziende: primo, perché i nostri intermediari (gli stampatori) non sono tenuti a comunicarcelo; secondo, perché le possibilità d’uso sono ampie: dai semplici biglietti da visita, ai flyer e ad ogni tipo di packaging.

La domanda finale è: a chi appartiene il futuro dei prossimi 20 anni? Alla carta o al digitale?
Non ho dubbi, alla carta.

 

Daniele Bazzanella